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Ucraina: la guerra energetica del XXI secolo

I conflitti globali sono sempre più alimentati dal desiderio di ottenere petrolio e gas naturale e i profitti che questi ultimi generano. L’Iraq, la Siria, la Nigeria, il Sudan, il Mar della Cina e non ultima l’Ucraina: ovunque si guardi, il mondo è in fiamme. Il comune denominatore di questi teatri di guerra è un infuso stregato di antagonismi etnici, religiosi e nazionali, trainato dall’ossessione dell’Energia.

© Kris Møklebust on Pexels

La guerra è guidata in gran parte dall’irrompere di antagonismi di lunga data tra clan vicini, spesso liberamente mischiati tra loro, sette e popoli veri e propri, ma non solo. In Iraq e in Siria, si tratta di uno scontro tra sunniti, sciiti, curdi, turcomanni e altri; in Nigeria tra musulmani, cristiani e vari gruppi tribali; nel Sud del Sudan tra i Dinka e i Nuer; nel Mar della Cina orientale e meridionale, tra cinesi, giapponesi, vietnamiti, filippini e altri; in Ucraina, tra lealisti ucraini e russofoni allineati con Mosca. Sarebbe facile attribuire tutto ciò a odi secolari, come suggerito da molti analisti; ma mentre tali ostilità aiutano senz’altro a indirizzare questi conflitti, essi sono altresì alimentati da un impulso più moderno: il desiderio di controllare le risorse petrolifere e di gas naturale di pregio. Non bisogna ingannarsi su ciò, queste sono guerre del XXI secolo per l’Energia.

Non dovrebbe sorprendere il fatto che l’Energia giochiun ruolo significativo in questi conflitti. Petrolio e gas sono, dopo tutto, le più importanti e preziose materie prime del mondo e costituiscono una fonte rilevante di reddito per i governi e le società che ne controllano produzione e distribuzione. Infatti, i governi di Iraq, Nigeria, Sudan del Sud, Siria e Russia derivano la gran parte dei loro ricavi da vendite di petrolio, mentre le grandi imprese energetiche – molte delle quali di proprietà dello Stato – esercitano un potere immenso in questi e in altri paesi coinvolti. Nonostante l’apparente patina di inimicizie storiche, molti di questi conflitti, quindi, sono in realtà lotte per il controllo della principale fonte di reddito nazionale.

Viviamo inoltre in un mondo al cui centro c’è l’Energia in cui il controllo delle risorse fossili (e dei loro vettori) si traduce in peso geopolitico per alcuni stati e vulnerabilità economica per altri. Dal momento che così tanti paesi dipendono dalle importazioni di Energia, le nazioni provviste di surplus da esportarne – tra cui l’Iraq, la Nigeria, il Sudan del Sud e la Russia – spesso esercitano un’influenza sproporzionata al loro reale peso specifico politico sulla scena mondiale.

La lotta per le risorse energetiche è stato un fattore evidente in diversi conflitti recenti, tra cui la guerra Iran-Iraq del 1980-1988, la Guerra del Golfo del 1990-1991, la guerra civile sudanese del 1983-2005 e non ultima la guerra tra Russia e Ucraina iniziata lo scorso 23 febbraio. A prima vista, il fattore legato ai combustibili fossili nei più recenti focolai di tensione e di guerra può sembrare meno evidente. Ma se si guarda più da vicino si vede che ognuno di questi conflitti è, in effetti, una guerra per l’Energia.

Tutte le guerre sono combattute per denaro.
Socrate in “Guerra e Pace”


La Guerra Russia-Ucraina

L’attuale crisi in Ucraina è iniziata nel novembre del 2013, quando il presidente Viktor Yanukovich ha ripudiato un accordo teso a rendere più stretti i legami economici e politici con l’Unione europea (UE), optando invece per legami più stretti con la Russia. Tale atto ha scatenato feroci proteste anti-governative a Kiev e, alla fine, ha portato alla fuga di Yanukovych stesso dalla capitale. Con il principale alleato di Mosca messo fuori gioco e le forze pro-UE che avevano assunto il controllo della capitale, il presidente russo Vladimir Putin si mosse per prendere il controllo della Crimea e per fomentare le spinte separatiste nell’Ucraina orientale. Per entrambe le parti, la lotta che ne è scaturita ha riguardato la legittimità politica e l’identità nazionale – ma come in altri conflitti recenti, sullo sfondo c’era anche la questione dell’Energia.

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L’Ucraina non è di per sé un importante produttore di Energia. Rimane, tuttavia, una via di transito importante per la fornitura di gas naturale russo verso l’Europa.

La notizia dell’invasione dell’Ucraina da parte delle forze armate russe, iniziata nella notte tra mercoledì 23 e giovedì 24 febbraio, ha inevitabilmente fatto il giro del mondo e la critica situazione bellica che sta avendo atto in territorio europeo è costantemente sotto i riflettori. Attualmente non è previsto un intervento diretto da parte della NATO a supporto dell’Ucraina, non essendo questa un membro dell’Organizzazione. È stato, tuttavia, approvato un pacchetto di sanzioni ai danni della Russia che, per il momento, non coinvolge il settore energetico del gas.


Siamo a rischio crisi energetica?

L’Europa senza gas dalla Russia potrebbe farcela?La preoccupazione maggiore per l’Europa e, in particolar modo, per l’Italia riguarda principalmente la fornitura di gas, motivo per il quale nel corso del vertice straordinario dei capi di Stato e di Governo dell’UE diversi Paesi si sono mostrati restii all’inserimento del gas nella discussione. La motivazione è la forte dipendenza dei diversi paesi europei dal gas proveniente dalla Russia, che possiede le più grandi riserve (provate) a livello mondiale.

Gasdotti in Europa – © tg24.sky.it

Nel complesso, è possibile affermare che l’attuale situazione di approvvigionamento e stoccaggio pone l’Europa in una posizione di vantaggio, sia per affrontare il 2022 senza Nord Stream 2 che per prepararsi al prossimo inverno; tuttavia, il 2023 inizierà a mostrare problemi a causa del progressivo decremento di produzione interna, unito alla minore disponibilità di approvvigionamento di GNL per l’Europa.

La crisi energetica e le conseguenze per l’Italia

L’Europa può soddisfare la domanda di gas per ora, ma le prospettive a lungo termine sono incerte. Analizziamo la situazione in Italia: circa il 46% del gas utilizzato nel nostro Paese arriva dalla Russia e viene utilizzato per produrre circa il 60% dell’elettricità.

Le conseguenze di questa dipendenza le abbiamo già sentite chiare e forti con l’impennata dei costi che ha interessato le ultime bollette e la chiusura di diverse attività proprio a causa di questi aumenti; costi che, con l’aggravarsi della situazione russo-ucraina, segnano ulteriori rialzi, con il prezzo del metano sul mercato di Amsterdam, benchmark per l’Europa continentale, che ha raggiunto 125 euro al MWh.

Condizioni economiche di fornitura per una famiglia con 3 kW di potenza impegnata e 2.700 kWh di consumo annuo in c€/kWh – © www.arera.it

Come dichiarato dal Presidente Draghi nel corso dell’informativa alla Camera dei Deputati del 25 febbraio, le sanzioni approvate, quelle che potrebbero essere approvare in futuro e la situazione già sperimentata a causa degli aumenti di prezzo, portano inevitabilmente a dover fare delle considerazioni riguardo all’impatto sull’economia nazionale e agli accordi stretti fino ad ora.

Si fa sentire l’imprudenza di non aver diversificato maggiormente le fonti di energia e i fornitori negli ultimi decenni e si deve rimediare a tale imprudenza in maniera tempestiva per evitare il rischio di crisi future, considerando l’attuale fase di transizione, non solo energetica ma anche geopolitica.

La necessità di accelerare la transizione alle rinnovabili è ancora una volta evidente e messa a dura prova dagli eventi bellici di questi giorni. In parallelo data l’inevitabilità del gas come combustibile di transizione dei prossimi anni si dovranno esplorare tutte le opportunità per diversificare ulteriormente il mix dei paesi di approvvigionamento incluso il rafforzamento del Corridoio Sud, oltre che l’incremento di produzione nazionale. 

Sarà forse arrivato il momento di iniziare a pensare alla possibilità di affiancare alle rinnovabili l’uso dell’idrogeno verde in futuro?

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