Terremoto in Turchia: l’apocalisse dipende sempre dall’uomo

Il collasso degli edifici in seguito a un terremoto non solo determina un elevato numero di vittime, ma provoca anche dei devastanti effetti economici e ambientali. Ogni qual volta si verificano fenomeni sismici di una certa portata i costi di rimozione e smaltimento delle macerie pongono un grande problema sia sul piano della sostenibilità economica di tali eventi catastrofici, sia sul piano della sostenibilità ambientale, in quanto non sempre è possibile smaltire e differenziare correttamente i materiali da costruzione ridotti in macerie.

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Angelo Giordano on Pixabay

Un terremoto di magnitudo 7.9 è stato registrato in Turchia il 6 febbraio 2023 ed ha colpito una vasta area dell’Anatolia sud-orientale, ai confini con la Siria. Questo evento è stato replicato circa 9 ore dopo da un’altra scossa con una magnitudo stimata di 7.5, a circa 60/70 km a nord-est rispetto alla prima; inoltre si sono avute numerose repliche di magnitudo superiore a 4.5, delineando un quadro catastrofico dal punto di vista dei danni e del numero di vittime. Infatti il risentimento degli eventi principali ha interessato una vasta area compresa fra Turchia meridionale e Siria, registrando il crollo totale di migliaia di edifici e causando decine di migliaia di vittime. Il bilancio delle vittime accertate è di 57’700 e sono andati distrutti oltre 264’000 edifici.

Dal punto di vista geologico e geodinamico, l’area colpita da questa sequenza sismica ricade lungo i margini delle placche Arabica ed Euroasiatica (definita anche placca Anatolica); in particolare si è attivato un segmento della faglia Est-Anatolica a cinematica trascorrente sinistra di lunghezza variabile tra i 600 ed i 700 km, che unitamente alla Faglia Nord-Anatolica (oltre 1500 km di lunghezza), rappresenta una delle strutture più attive dal punto di vista sismico del medio oriente. Inoltre, il secondo evento di magnitudo 7.5 è stato localizzato su un segmento di faglia differente, orientata E-W interconnesso con la Est-Anatolica e la sequenza in atto ha registrato oltre 200 repliche di magnitudo superiore a 5, aggravando ogni volta il quadro dei danni e/o delle eventuali vittime sepolte sotto le macerie. Dal punto di vista geodinamico, la regione anatolica è stata interessata da processi deformativi complessi a partire da 35 milioni di anni fa, determinando negli ultimi 5 milioni di anni l’estrusione verso i quadranti occidentali del cosiddetto blocco anatolico (fig. 1).

Figura 1 –  Assetto tettonico dell’area egeo-anatolica (Sparacino et al., 2022). Sparacino, F., Galuzzi, B. G., Palano, M., Segou, M., & Chiarabba, C. (2022). Seismic coupling for the Aegean-Anatolian region. Earth-Science Reviews, 228, 103993. https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0012825222000770

Tale processo determina una sismicità storica che già in passato ha prodotto terremoti molto forti e di energia paragonabile a quella rilasciata nel 2023, tra i quali quello di Elazig del 24 gennaio 2020 (fig. 2). Questo evento si è verificato in un’area dove molti autori hanno riconosciuto importanti lacune sismiche lungo tutto il sistema di faglie e infatti le zone dove la sismicità storica mostra apparenti periodi di “calma” sismica rappresentano le maggiori candidate all’occorrenza di futuri forti terremoti. Da questi studi e dal confronto dei dati sismologici della sequenza sismica del 2023, è stato possibile notare come al momento quest’ultima (2023) sia localizzata in corrispondenza del margine sud-occidentale del sistema di faglie che ha generato la crisi sismica del 2020 e che, quindi, ci possa essere una sorta di interconnessione tra gli eventi in termini di successione temporale. Infatti, è ben noto che terremoti forti determinano variazioni dello stato di stress su faglie attive localizzate nelle vicinanze dell’epicentro e/o ai margini delle strutture tettoniche responsabili del terremoto stesso; ciò determina in taluni casi un surplus di stress tettonico su faglie adiacenti che accelera la futura rottura sismica.

Figura 2 –  Localizzazione degli eventi sismici del 2020 e del 2023 (da https://i0.wp.com/ingvterremoti.com/wp-content/uploads/2023/02/figura1_akinci.jpg?ssl=1).

In altre parole, si accorciano i tempi di ricorrenza di eventi significativi, in quanto forti terremoti possono “caricare” ulteriormente strutture vicine e che, spesso, risultano caratterizzate anche da un gap sismico. Tale comportamento sembrerebbe essere vero per il caso turco, così come per altri esempi tipo, Amatrice e Norcia 2016 in Italia. Infatti, recenti studi hanno messo in evidenza che il sisma del 2023 in Turchia sia stato il più grande registrato negli ultimi 2000 anni, con una doppietta di scosse ravvicinate molto forti e considerate le più potenti mai verificatesi su terraferma.

Sul piano degli effetti del sisma, si sono registrati danni molto ingenti, che hanno provocato un elevato numero di vittime per due motivi principali: l’intensità delle scosse sismiche e la capacità relativamente scarsa in termini di resistenza da parte degli edifici. Ogni struttura sottoposta a scosse sismiche subisce accelerazioni prevalentemente orizzontali del suolo e dai dati pubblicati si evince come l’intensità dell’evento sulle costruzioni sia stata molto forte. Inoltre, dalle immagini diffusamente trasmesse è semplice notare come un elevato numero di edifici abbia subito danni strutturali molto rilevanti e collassi parziali o totali. Tali strutture in cemento armato (molto simili alle costruzioni residenziali realizzate in Italia) risultano collassate principalmente per crisi strutturali dei piani bassi, sinonimo di una non adeguata e/o totale mancanza di adeguati criteri di progettazione antisismica.

In aggiunta, siccome terremoti di questa intensità sono caratterizzati da un elevato numero di repliche con magnitudo importanti (superiori a 4.5 della scala Richter), gli edifici già danneggiati dalle scosse principali avrebbero subìto ulteriori lesioni, amplificando i danni osservati. Questo effetto dipende dallo stato di danneggiamento pregresso della struttura, che viene minimizzato se il costruito rispetta i criteri di progettazione antisismica.

Ciò mette in evidenza che tali regole risultano fondamentali per due motivi principali: per evitare il collasso degli edifici che determina un elevato numero di vittime e per ridurre drasticamente gli effetti economici dovuti agli ingenti danni. Le ultime stime, infatti si attestano sui 100 miliardi di dollari e non includono i costi di rimozione e smaltimento delle macerie, ponendo un grande problema sia sul piano della sostenibilità economica di tali eventi catastrofici, sia sul piano della sostenibilità ambientale di come smaltire/differenziare correttamente i materiali da costruzione ridotti in macerie.

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