La vera svolta sui cambiamenti climatici per l’industria?

La comunicazione politica e le scelte energetiche devono essere più coraggiose e parlare anche di ciò che è lontano dal comune sentire: per l’industria non ha senso discutere di un piano per il clima se non si parla di acciaio, cemento e plastica.

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Quanto impattano le automobili sulle emissioni di gas serra?
Molto, verrebbe da dire, a dare retta al dibattito pubblico e politico di questi mesi e non solo. E invece no.

Come già evidenziato in un mio precedente intervento (Il caro energia, l’industria e la crisi climatica) le automobili sono responsabili di meno del 7% delle emissioni mondiali (sareste sorpresi di scoprire che i “trasporti” sono responsabili del 14% delle emissioni globali, posizionandosi solo al quarto posto. Sul podio troviamo la “produzione industriale”, la produzione di energia elettrica e, prima fra tutte, l’agricoltura e l’allevamento).

Se parliamo di produzione industriale, un grandissimo impatto è generato dai processi legati alla produzione di cemento, acciaio e plastica: vogliamo davvero pensare ad un piano per il clima? Bene, dobbiamo iniziare a parlare di questi tre prodotti industriali, altrimenti stiamo facendo solo chiacchiere inutili.

L’acciaio
Le origini della storia dell’acciaio risalgono a circa quattromila anni fa. Una lunga serie di affascinanti invenzioni nel corso dei secoli ci ha portato dall’Età del ferro all’acciaio economico e versatile di cui disponiamo oggi. Per produrre l’acciaio, c’è bisogno di ferro puro (che di per sé non è molto robusto) e carbonio (anche meno dell’un per cento) per consentire all’acciaio risultante di avere le sue proprietà più importanti. Carbonio e ferro non sono difficili da trovare, il ferro puro è però piuttosto raro: è quasi sempre combinato con l’ossigeno e altri elementi, in un composto noto come minerale di ferro. Per produrre l’acciaio, è necessario allora separare l’ossigeno dal ferro e aggiungere una piccola quantità di carbonio. È possibile fare entrambe le cose contemporaneamente fondendo il ferro a temperature molto elevate (1.700 gradi centigradi) in presenza di ossigeno e di un tipo di carbone noto come coke: una piccola parte del carbonio si lega al ferro, formando l’acciaio desiderato, e il resto del carbone si unisce all’ossigeno, formando anidride carbonica. Parecchia anidride carbonica: con la produzione di una tonnellata d’acciaio si formano circa 1,8 tonnellate di anidride carbonica.

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Il cemento
Per fare il cemento, ci vuole il calcio. Per ottenere il calcio, si parte dal calcare, che contiene calcio oltre a carbonio e ossigeno, e lo si brucia in una fornace insieme a qualche altro materiale. Data la presenza di carbonio e ossigeno, avrete probabilmente intuito dove stiamo andando a parare. Dopo aver bruciato il calcare, ci si ritrova con ciò che si desidera, il calcio per il cemento, e con qualcosa di indesiderato: l’anidride carbonica. Nessuno conosce un metodo per produrre cemento evitando questo processo. È una reazione chimica – calcare più calore uguale ossido di calcio più anidride carbonica – e non c’è modo di aggirarla. È un rapporto di uno a uno: se si produce una tonnellata di cemento, si ottiene una tonnellata di anidride carbonica.

La plastica
Paragonata al cemento e all’acciaio, la plastica è la bambina del gruppo. Le plastiche sintetiche si sono imposte soltanto alla metà del Novecento, grazie ad alcuni progressi rivoluzionari nell’ingegneria chimica. Oggi ci sono oltre due dozzine di tipi di materie plastiche dal polipropilene per i contenitori dello yogurt, all’acrilico nelle vernici, nei lucidi per pavimenti e nei detergenti per lavatrice, alle microplastiche nei saponi e negli shampoo o il nylon nelle giacche impermeabili. Tutti questi diversi tipi di plastica hanno una cosa in comune: contengono carbonio che, nel caso delle materie plastiche, si legano all’idrogeno e all’ossigeno.
Le aziende che producono materie plastiche tendono a ricavare il carbonio raffinando il petrolio, il carbone o il gas naturale e poi sottoponendo i prodotti raffinati a vari processi. Ciò contribuisce a spiegare perché le plastiche si siano guadagnate la fama di essere poco costose: come il cemento e l’acciaio, sono convenienti perché i combustibili fossili sono convenienti. C’è però un aspetto importante che rende le materie plastiche sostanzialmente differenti dal cemento e dall’acciaio. Quando facciamo il cemento o l’acciaio, rilasciamo anidride carbonica come inevitabile sottoprodotto, ma quando facciamo una materia plastica, circa metà del carbonio resta nella plastica.

© Magda Ehlers on Pexels

Per chiudere. O per inziare?
Dunque, al netto di quanto già detto sull’utilità, ma non sufficienza, delle auto elettriche – da considerare però nell’intera ciclo di produzione e di filiera del vettore energetico – se vogliamo davvero incidere sui cambiamenti climatici dobbiamo concentrarci anche sulle soluzioni più complicate e lontane dalla sensibilità comune: stoccaggio dell’energia elettrica, carburanti, cemento, acciaio, fertilizzanti verdi e così via.

Questo richiederà un approccio diverso alle decisioni politiche.

Bisognerà investire maggiormente nella ricerca e nello sviluppo delle tecnologie più complicate e, dato che riguardano aspetti fondamentali delle nostre infrastrutture fisiche come edifici e strade, nella necessità di mettere in campo delle politiche pensate espressamente per elaborare queste innovazioni e metterle sul mercato.

Un cammino lungo, ma indispensabile.

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