Un approccio innovativo per la mappatura delle inondazioni fluviali

Le inondazioni rappresentano uno dei disastri naturali più comuni e più impattanti a livello mondiale. Tali eventi aumenteranno ulteriormente in futuro a causa dei cambiamenti climatici, della crescita economica e dell'urbanizzazione. I ricercatori del laboratorio LSD&D (Land Surface Dynamics and Degradation) del CNR-IMAA, unitamente a ricercatori dell’Università Federico II di Napoli, propongono un approccio innovativo per la mappatura delle inondazioni fluviali integrando telerilevamento satellitare ed analisi idrogeomorfologiche.

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© Peggy Choucair on Pixabay

Le inondazioni rappresentano uno dei disastri naturali più comuni e più impattanti a livello mondiale. Nel corso del primo ventennio degli anni 2000, solo le inondazioni hanno causato danni economici pari a 651 miliardi di dollari e si prevede che tali perdite aumenteranno ulteriormente in futuro a causa dei cambiamenti climatici, della crescita economica e dell’urbanizzazione. La gestione efficace delle inondazioni richiede una conoscenza accurata della situazione post-evento, al fine di supportare e sviluppare piani d’intervento tempestivi ed efficienti.

Tuttavia, raccogliere informazioni in situ per mappare le aree allagate può risultare impreciso e poco pratico, specialmente su aree vaste.  In questo contesto, il telerilevamento satellitare si rivela un valido strumento di supporto. Grazie ai numerosi sensori in orbita che acquisiscono dati a diverse risoluzioni spettrali e spaziali, è possibile ottenere osservazioni sinottiche aggiornate di ampie aree in breve tempo.

Nell’ambito del telerilevamento ottico, la letteratura scientifica suggerisce diversi indici spettrali per l’identificazione delle aree inondate, tra cui il Normalized Difference Water Index (NDWI) e il Modified Normalized Difference Water Index (MNDWI). Sebbene la loro capacità di mappare sia ampiamente riconosciuta, è noto al contempo che diversi fattori possono interferire con la corretta identificazione dell’acqua quali, ad esempio, la presenza di nuvole dense, neve, ghiaccio e ombre.

Al fine di ridurre gli errori e migliorare la detection speditiva delle inondazioni fluviali, questo studio propone un approccio che integra prodotti ottici satellitari e analisi geomorfologiche basate su Modelli Digitali di Elevazione (DEM). Questo metodo è stato testato nel contesto dell’evento di esondazione del Fiume Piave nell’ottobre 2018, causato dalla tempesta Vaia, che ha avuto un impatto significativo sulle regioni del nord-est dell’Italia. Nello studio, sono state utilizzate immagini ottiche acquisite dal sensore Sentinel-2, uno dei principali sensori ottici non commerciali con un’elevata frequenza di rivisitazione (5 giorni all’equatore e 2-3 giorni alle medie latitudini grazie alla combinazione delle orbite di Sentinel-2A e Sentinel-2B), che lo rende adatto per la mappatura delle inondazioni. Oltre ai già menzionati MNDWI e NDWI, è stato aggiunto il Normalized Difference Turbidity Index (NDTI) per identificare anche i pixel caratterizzati da acqua molto torbida e carica di sedimenti. Attraverso la segmentazione di questi indici spettrali (analizzati sia separatamente che combinati) e l’applicazione di soglie adeguate, sono state ottenute le mappe preliminari delle aree allagate. Contestualmente è stato stimato il Geomorphic Flood Index (GFI), un descrittore idrogeomorfologico derivato da DEM, in grado di identificare le aree più propense ad essere raggiunte da una inondazione fluviale.

Esso è stato scelto per la sua affidabilità, in quanto specificatamente formulato per identificare la suscettibilità alle inondazioni ed essendo risultato l’indice con le migliori prestazioni in analisi comparative effettuate in diverse regioni del mondo. Tramite la segmentazione del GFI si è ottenuta la mappa delle aree geomorfologicamente propense ad essere inondate per un assegnato periodo di ritorno (scelto in accordo all’evento di piena considerato). Dalla sovrapposizione delle due mappe, la satellitare e la geomorfologica, si è ottenuto il prodotto finale costituito dai pixel risultati inondati in entrambe le analisi. I risultati dello studio hanno mostrato che l’integrazione di questi strati informativi migliora l’identificazione delle aree interessate dal fenomeno alluvionale riducendo significativamente gli errori di sovrastima causati da falsi allarmi come nuvole, ombre e vegetazione bagnata (Figura 1).

Figura 1: (a) composizione RGB (R: Banda 4, G: Banda 3, B: Banda 2 del Sentinel2) di una porzione dell’area di studio e (b) mappa corrispondente prodotta combinando NDTI/NDWI con GFI. Nei riquadri colorati, esempi di aree erroneamente classificate come allagate dagli indici spettrali: in verde le aree urbane (principalmente edifici), in arancione le aree agricole. Alcuni di questi pixel sono stati rimossi dopo l’introduzione del GFI, mentre altri sono rimasti nella mappa finale perché in accordo con il GFI e, dunque, considerati come errore di sovrastima. (c) stesse aree di studio mappate integrando MNDWI e GFI.

Questo nuovo approccio genera una mappatura più robusta rispetto agli approcci tradizionali basati solo sulla segmentazione di un singolo indice spettrale.

In conclusione, il metodo proposto permette di ottenere una mappatura affidabile e rapida basata sull’utilizzo di dati gratuiti e facilmente disponibili, consentendo l’indagine su vaste aree. Questo strumento, pertanto, può essere di grande utilità per fornire una rappresentazione tempestiva e accurata delle condizioni post-alluvione, supportando la coordinazione delle prime operazioni sul campo e consentendo una stima preliminare dei danni.

Per maggiori informazioni: Samela, C., Coluzzi, R., Imbrenda, V., Manfreda, S., & Lanfredi, M. (2022). Satellite flood detection integrating hydrogeomorphic and spectral indices. GIScience & Remote Sensing, 59(1), 1997-2018. https://doi.org/10.1080/15481603.2022.2143670

Questo contributo è stato scritto in collaborazione con l’ing. Caterina Samela, ricercatrice IMAA-CNR.

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