Le foreste vetuste Mediterranee mostrano resistenza al riscaldamento globale

Uno studio pubblicato di recente sulla rivista internazionale Science of Total Environment rivela che i boschi vetusti che vegetano sulle montagne del Mediterraneo sono resistenti ai cambiamenti climatici.

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Serra delle Ciavole (Parco Nazionale del Pollino) - © Gianluca Piovesan

I boschi vetusti costituiscono un patrimonio di inestimabile valore dal punto di vista ecologico ed ambientale, in quanto rappresentano la condizione più prossima alle foreste primordiali europee. Le caratteristiche che contraddistinguono una foresta vetusta sono tipiche degli stadi finali dello sviluppo della vegetazione di un sito, ovvero presenza di piante di dimensioni notevoli molte delle quali senescenti, abbondante presenza di alberi morti in piedi e legno morto al suolo, un’elevata e complessa eterogeneità strutturale, assenza di disturbo antropico da molte decadi e composizione di specie native.

Si stima che oggi le foreste vetuste europee sono estremamente rare, occupando solo lo 0,7% dell’area boschiva totale, fornendo vari e importanti servizi ecosistemici. La ricchezza delle foreste montane vetuste, oltre che per l’unicità del paesaggio, è data dal fatto che rappresentano ecosistemi dinamici, caratterizzati da un alto livello di diversità strutturale e biologica, in grado di assorbire e immagazzinare carbonio per decenni, ma questa capacità potrebbe essere ostacolata dai cambiamenti climatici. Sebbene vi sia una crescente attenzione per questi ecosistemi ad alta naturalità, la conoscenza degli impatti a lungo termine dei cambiamenti climatici in ambiente Mediterraneo è ancora limitata.

Un gruppo di scienziati italiani e spagnoli in una ricerca condotta nel Parco Nazionale del Pollino nel sud Italia sono riusciti a dimostrare che i boschi vetusti, nonostante l’acuirsi dei fenomeni estremi legati ai cambiamenti climatici e la ragguardevole età secolare degli alberi più vecchi, continuano a mostrare una crescita stabile o addirittura più sostenuta ad alta quota.

Il lavoro ha preso in esame alcuni degli ultimi lembi rimasti di boschi vetusti situati all’interno del Parco Nazionale del Pollino per valutare come la crescita di alberi giovani e vecchi conspecifici ha risposto ai cambiamenti climatici. Non è un caso che per questo lavoro sia stato scelto l’areale del Pollino, citando alcuni numeri in questo massiccio, che rappresenta l’area protetta più vasta a livello nazionale, sono stati trovati alcuni degli alberi più longevi: Italus (P. leucodermis) che con 1235 anni è l’albero datato più vecchio d’Europa e Michele e Tenore di oltre 620 anni, i vecchissimi faggi della faggeta del Pollinello recentemente dichiarata patrimonio mondiale. Un ulteriore esempio è dato dalla faggeta vetusta di Cozzo Ferriero, riconosciuta nel 2017 “Patrimonio mondiale dell’Umanità dell’Unesco”, dove quest’ultima rappresenta uno dei siti oggetto di questo studio scientifico.

Tutti questi popolamenti sono ubicati in aree montane caratterizzate da condizioni topografiche estreme (in pendii ripidi e suoli poco profondi), ciò ha permesso loro di rimanere quasi intatti per secoli. Infatti l’uomo li ha abbandonati, contribuendo alla loro transizione a condizioni più naturali. In particolare, i siti sono stati selezionati per il loro valore biologico ed ecologico, rappresentando un eccezionale esempio di foresta vetusta in Europa con cicli praticamente intatti che ha permesso a tali sistemi di poter raggiungere le caratteristiche di foreste vetuste.

Terranova di Pollino – © Michele Colangelo

Da un punto di vista metodologico lo studio è stato condotto prendendo in esame alcune specie di conifere (pino loricato e abete bianco) e latifoglie (faggio e cerro) peculiari degli ambienti montani dell’area del Mediterraneo centrale. Sono stati selezionati e campionati distinte aree lungo un gradiente altitudinale, che va da un bosco di latifoglie di bassa quota, il cui fattore limitante è dato dalla siccità, a un bosco subalpino limitato dal freddo. Questa ricerca fonda le basi sull’utilizzo di un approccio dendrocronologico, ovvero lo studio degli anelli di crescita delle piante. Lo scopo è stato quello di caratterizzare le dinamiche di crescita a lungo termine suddividendo le piante in due categorie cronologiche: piante vetuste (età > 120 anni) e alberi giovani (età < 120 anni).

Dai risultati si evince che i sistemi più sono complessi a livello strutturale e funzionale, come i boschi vetusti, e maggiormente sono in grado di resistere ai cambiamenti climatici rispetto a quelli in cui l’uomo è intervenuto con la gestione. Si tratta di un risultato rilevante considerato quello che sta avvenendo in ambiente mediterraneo negli ultimi decenni dove diversi ecosistemi forestali a causa dei cambiamenti climatici mostrano segni evidenti di declino della crescita e peggioramento dello stato di salute con conseguenze negative in termini di sequestro del carbonio, biodiversità e servizi ecosistemici.

Questa scoperta potrebbe avere importanti implicazioni sulla conoscenza delle dinamiche di mitigazione ai cambiamenti climatici, nei programmi di sostegno alla conservazione della biodiversità e per il ripristino della naturalità delle foreste. La necessità di studiare le foreste vetuste è una priorità emersa in diverse convenzioni internazionali finalizzate alla protezione della biodiversità. La presenza di questi preziosi laboratori naturali a cielo aperto all’interno del parco nazionale del Pollino ha rappresentato un’occasione unica per valutare come questi ecosistemi rispondono ai fattori del cambiamento globale, inclusi il riscaldamento climatico e i cambiamenti nell’uso del suolo.

Bosco Magnano (Parco Nazionale del Pollino) – © Francesco Ripullone

La protezione di quelle tipologie forestali europee che rappresentano parte delle rimanenti foreste secondarie più antiche è il fine da perseguire, affinché si possano conservare determinati ecosistemi forestali tipici di alcune specie che necessitano di habitat estesi e indisturbati.

Tra gli obiettivi a scala regionale e locale un punto chiave può svolgerlo la gestione sostenibile e di tipo adattativo, che miri alla protezione e conservazione delle foreste vetuste, veri e propri patrimoni della regione mediterranea meridionale, in modo da poter garantire la continuità di questi complessi sistemi che, inoltre, rappresentano un enorme potenziale per svariati studi scientifici.

La conservazione e il restauro degli ecosistemi montani rappresenta traguardo importante nelle politiche di conservazione, pertanto investire anche sulle foreste vetuste risulta essere una buona strategia nella transizione ecologica in atto per garantire alle generazioni future un pianeta vivibile.

Per maggiori informazioni: Colangelo et al. Mediterranean old-growth forests exhibit resistance to climate warming, Science of Total Environment (2021).

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