I cambiamenti climatici minacciano l’agricoltura nell’Europa del sud

Secondo la European Environment Agency, agricoltura e allevamento rischiano di scomparire nei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Entro il 2050 colture come grano, mais e barbabietola da zucchero diminuiranno del 50%

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Agricoltura e allevamento potrebbero scomparire in alcune zone dell’Europa del sud a causa dei cambiamenti climatici. È quanto prevede il rapporto dell’Environment European Agency (EEA). Lo studio ribadisce l’importanza di riadattare il settore agricolo alle nuove esigenze se si vogliono prevenire gli eventi estremi come siccità, ondate di calore e inondazioni.

“Nuovi record sono stati stabiliti in tutto il mondo a causa dei cambiamenti climatici e gli effetti negativi di questo cambiamento stanno già influenzando la produzione agricola in Europa, specialmente nel sud –afferma Hans Bruyninckx, direttore esecutivo del EEA – Nonostante alcuni progressi, è necessario fare molto di più per adeguare il settore e anche le future politiche dell’UE devono essere progettate in modo da apportare miglioramenti a livello produttivo”.

Il report dell’EEA sottolinea come le condizioni meteorologiche estreme, comprese le recenti ondate di calore, stanno già causando perdite economiche per gli agricoltori. Gli impatti climatici hanno portato a raccolti più poveri e costi di produzione più elevati, incidendo sul prezzo, sulla quantità e sulla qualità dei prodotti agricoli in alcune parti d’Europa. Mentre si prevede che i cambiamenti climatici miglioreranno le condizioni per la coltivazione delle colture in alcune parti del nord Europa, è vero il contrario per la produttività delle colture nell’Europa meridionale.

Si prevede che le rese di colture non irrigate come grano, mais e barbabietola da zucchero diminuiranno nell’Europa meridionale fino al 50% entro il 2050. Ciò potrebbe comportare un calo sostanziale del reddito agricolo entro il 2050, con grandi variazioni regionali. In uno scenario simile, si prevede che i valori dei terreni agricoli diminuiranno di oltre l’80% in alcune parti dell’Europa meridionale entro il 2100, il che potrebbe comportare l’abbandono della terra.

Allo stesso tempo, agricoltura e allevamento sono tra i maggiori responsabili di emissioni di gas serra: nonostante i livelli siano ampiamente calati rispetto ai primi anni ’90 (-22% di GHG tra il 1990 e il 2016), le emissioni del settore agricolo rappresentano ad oggi il 10% del totale dell’Unione europea. In particolare, il comparto agricolo è il maggior responsabile dell’emissione di gas serra diversi dal diossido di carbonio con quelle derivanti dalla fermentazione enterica che costituiscono la quota maggiore (38%) di tutte le emissioni di gas a effetto serra del settore.

Diventa fondamentale, quindi, sottolinea il rapporto, seguire le strategie di adattamento delineate dall’Ue e in particolare quelle sviluppate nell’ambito della Politica Agricola Comune (CAP). Al di là degli schemi internazionali, tuttavia, gli esperti dell’EEA sottolineano l’esigenza di cambiamenti significativi sia a livello produttivo (dove andrebbe limitato l’uso dei fertilizzanti e migliorata la gestione degli animali) che di consumo (con un invito esplicito a modificare le diete alimentari riducendo il consumo di carne e gli sprechi), oltre a una maggiore attenzione alla formazione e all’informazione ai singoli agricoltori di best practice e nuove tecniche.

Le strategie d’adattamento elaborate dall’Ue spesso non vengono recepite a livello capillare a causa della mancanza di finanziamenti, del sostegno politico, della capacità istituzionale e dell’accesso al know-how. Il rapporto EEA sottolinea che sono necessarie maggiori conoscenze, innovazione e sensibilizzazione per migliorare l’efficacia delle misure di adattamento già disponibili, come l’introduzione di colture adattate, il miglioramento delle tecniche di irrigazione, margini di campo e agroforestria, diversificazione delle colture o agricoltura di precisione.

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