L’Italia consuma circa 500 milioni di tonnellate di risorse naturali all’anno, ne importa oltre 300 e al contempo genera più di 170 milioni di tonnellate di rifiuti, con un tasso di circolarità fermo al 17,7%: sebbene un obiettivo di circolarità al 100% sia fisicamente impossibile da conseguire, è evidente come lo spazio per migliorare sia ancora enorme, ma è difficile pensare di riempirlo partendo dalla coda, come testimonia la prima edizione del Circular economy report, redatto dall’Energy&strategy group della School of management del Politecnico di Milano.
La gestione sostenibile dei rifiuti che produciamo, attraverso più efficienti forme di recupero di materia, di energia o di smaltimento, è e rimarrà un elemento centrale dell’economia circolare, sul quale resta ancora molto da migliorare. Ma è monte che sta il design del prodotto, da ripensare per ridurre il prelievo di materie prime e renderlo – una volta usato – più riciclabile.
«Si tratta di cambiare radicalmente prospettiva rispetto all’attuale economia lineare – Andrea Chiaroni, vicedirettore dell’E&S Group e curatore dell’indagine – mantenere i prodotti il più a lungo possibile nel circuito attraverso l’estensione della loro vita, la ridistribuzione, il riutilizzo, la rigenerazione e, soltanto alla fine, il riciclo. In questo modo risulta possibile sostenere la stessa domanda di beni e servizi con un minor prelievo di risorse naturali. Non è quindi una ricetta di austerity, bensì di espansione della domanda, e qui sta la principale differenza con gli altri paradigmi sostenibili».
Un paradigma che in ogni caso, come tutti gli altri, deve fare i conti coi limiti materiali imposti dal pianeta sul quale viviamo, di dimensioni finite e dunque incompatibile con una crescita dei consumi infinita. Ma al momento siamo molto distanti da un’ottica simile: «Dall’inizio del ‘900 la popolazione mondiale è cresciuta di 4,5 volte, il consumo di risorse naturali, invece, di quasi il triplo».
Sotto questo profilo le parole chiave dell’economia circolare, aggiunge Chiaroni, sono tre: risorse, intese come componenti del prodotto, che hanno un ciclo di vita più lungo e un valore intrinseco recuperabile; re-disegn, perché le imprese sono chiamate a ridisegnare processi di produzione e prodotti che siano modulari e facilmente assemblabili, realizzati con materiali riusabili e riciclabili; proprietà, perché se nell’economia lineare il prodotto passa totalmente al cliente, nell’economia circolare la proprietà del prodotto deve restare al produttore, mentre il cliente ne paga soltanto l’utilizzo attraverso meccanismi di pay per use. A che punto siamo in Italia?
Per misurare la sensibilità del nostro sistema economico verso il passaggio all’economia circolare, senza pretese statistiche, l’E&S group ha condotto un’analisi dettaglia coinvolgendo oltre 150 imprese in 4 macro-settori industriali: “Costruzioni” (opere di ingegneria civile o lavori di costruzione specializzati), “Automotive” (progettazione, costruzione e vendita di veicoli o componenti), “Impiantistica Industriale” (realizzazione di apparecchiature elettriche o macchinari destinati all’industria), “Resource & Energy Recovery” (recupero e smaltimento di rifiuti biologici, gestione di impianti per la produzione di energia elettrica attraverso biomasse).
Per ciascuna impresa, in ciascun settore, si sono investigate le “pratiche” di economia circolare adottate, le barriere incontrate e i driver che invece ne hanno favorito la diffusione: il 62% delle aziende intervistate ha implementato almeno una pratica di Economia circolare o ha giocato un ruolo di supporto ad altre imprese nelle loro iniziative circolari (10%). Nel restante 38%, il 14% ha già chiara la volontà di adottare almeno una pratica di economia circolare nel prossimo triennio, mentre solo il 24% del totale si è dimostrato indifferente al tema. Cifre che potrebbero destare un cauto ottimismo. In realtà, proprio le imprese più attive sono le prime a riconoscere che la strada da fare è ancora lunga.
Ma quali sono i fattori che hanno spinto le imprese all’adozione di pratiche manageriali per l’economia circolare? «Certamente la presenza di incentivi per realizzare gli interventi necessari e di leggi o regolamenti a supporto della transizione, tuttavia – sottolineano dal Politecnico di Milano – appare fondamentale la “visione” manageriale e imprenditoriale. Quanto invece alle barriere, le più significative sono risultate l’incertezza governativa, che non agevola le aziende nella valutazione di decisioni strategiche, i costi d’investimento e le tempistiche associate alla realizzazione di interventi da sostenere per l’adozione delle pratiche circolari».