Si chiude peggio del previsto la Cop25 di Madrid. Dopo le dichiarazioni dei giorni scorsi, in cui l’accordo sembrava vicino, è sfumato tutto. A nulla sono serviti i quasi due giorni di ritardo con il quale si è conclusa la conferenza delle parti sul clima, ovvero il vertice annuale che vedeva riuniti quasi 200 Paesi. Il nodo cruciale è stato l’articolo 6 dell’Accordo di Parigi, riguardante i mercati della CO2 e la necessità di ridurre le emissioni per contenere il riscaldamento globale.
Alla fine, il vertice è terminato con un timido appello ai Paesi a fare “sforzi più ambiziosi”, quasi una presa in giro visto che questa poteva essere l’occasione decisiva per fare qualcosa di concreto contro i cambiamenti climatici. I negoziati continueranno l’anno prossimo alla COP26 di Glasgow, quella delle grandi decisioni.
Antonio Guterres, segretario generale dell’Onu, si è detto “deluso” dai risultati della conferenza, affermando che “la comunità internazionale ha perso una opportunità importante per mostrare maggiore ambizione” nell’affrontare la crisi dei cambiamenti climatici. “Non dobbiamo arrenderci, e io non mi arrenderò”, ha concluso.
Dura la reazione di Greenpeace. Secondo l’associazione, i progressi che ci si auspicava emergessero dalla COP25 sono stati “ancora una volta compromessi dagli interessi delle compagnie dei combustibili fossili e di quelle imprese che vedono in un accordo multilaterale contro l’emergenza climatica una minaccia per i loro margini di profitto. “Durante questo meeting – sottolinea – la porta è stata letteralmente chiusa a valori e fatti, mentre la società civile e gli scienziati che chiedevano la lotta all’emergenza climatica venivano addirittura temporaneamente esclusi dalla COP25. Invece, i politici si sono scontrati sull’Articolo 6 relativo allo schema del commercio delle quote di carbonio, una minaccia per i diritti dei popoli indigeni nonché un’etichetta di prezzo sulla natura. Ad eccezione dei rappresentanti dei Paesi più vulnerabili, i leader politici non hanno mostrato alcun impegno a ridurre le emissioni, chiaramente non comprendendo la minaccia esistenziale della crisi climatica”.
I governi “devono ripensare completamente il modo con cui conducono queste trattative, perché l’esito di questa COP è totalmente inaccettabile – afferma Jennifer Morgan, direttrice esecutiva di Greenpeace International. C’era necessità, dice, “di decisioni che rispondessero alle sollecitazioni lanciate dalle nuove generazioni, che avessero la scienza come punto di riferimento, che riconoscessero l’urgenza e dichiarassero l’emergenza climatica. Anche per l’irresponsabile debolezza della presidenza cilena, Paesi come Brasile e Arabia Saudita hanno invece fatto muro, vendendo accordi sul carbonio e travolgendo scienziati e società civile”.
L’Ipcc (l’organo istituito dall’Onu per monitorare il cambiamento climatico) ha chiaramente avvertito che gli sforzi globali devono moltiplicarsi per cinque se si vuole evitare un aumento della temperatura media terrestre superiore a 1,5° rispetto a quella pre-industriale, la soglia oltre la quale gli eventi estremi potrebbero raggiungere il punto di non ritorno. Con i piani attuali, si arriverebbe facilmente ai 3,2° di aumento entro la fine del secolo.